3. Primi passi all’interno del tempio
Varcata la soglia del tempio si è abbacinati dall'immagine del Cristo Redentore, l'opera musiva absidale composta di oltre 750.000 tessere realizzata nel 1992 dalla Mosaic Art di Domenico Colledani di Milano su disegni di Gaetano Valerio di Cassano Murge. Il mosaico attrae, colpisce, suggerisce percorsi spirituali, impennate di fede, ma di esso parlerò in seguito.
La chiesa ospita numerose statue di Santi. Uno sguardo ad esse, non meramente legato alla loro fattura ed all’estetica, si impone. Ad esse si collegano antiche quanto feconde devozioni popolari.
Le prime che incontro sono quelle di S. Giovanna D'Arco e di S. Ciro[1]. Traiamone una breve riflessione a beneficio dello spirito e dell'azione, in quanto ogni bagliore spirituale deve poter illuminare il nostro mondo interiore ed influire sulla sfera delle nostre azioni. Nell'uomo non può esserci separazione fra interno ed esterno. Inevitabilmente la sfera interiore si riflette su quella esteriore, i nostri volti narrano le nostre peripezie, dicono della nostra pace interiore o dei nostri conflitti non sanati, e mentre la nostra quiete interiore si fa benevolenza e mansuetudine, apertura sul mondo ed amore verso l'altro, i nostri conflitti si traducono spesso in latitanze o in dolorose ed esacerbanti diatribe. È profondamente vero che le grandi guerre cominciano nel fondo del cuore d'ognuno, quel cuore che, sede dei sentimenti per il popolo ebraico, soltanto Dio può mutare in un cuore di carne, mite ed umile, accogliente ed amorevole. La pace nasce dentro, e anche se una legislazione la imponesse, essa non potrebbe raggiungersi che a condizione di viverla dentro di sé, nel proprio cuore. La pace come la dà il mondo non è la pace come la dà il Cristo. La prima è fragile ed esposta, sotto il profilo politico, alle distorsioni del pacifismo che, essendo una pace ideologica, non può condurre alla vera pace. È una pace senza chiesa, per cui non ha le sue radici in alto, nei cieli, da dove proviene la parola liberante. Nella sua versione materialista, è stordimento da consumo di cose, è droga, è l'appagamento del rapporto 1'erotico. Dura poco, è effimera, e verte sul soddisfacimento dei propri bisogni e delle proprie pulsioni. In questo contesto marcato a fuoco dal materialismo e dal relativismo, l'altro non assurge alla dignità di prossimo, è strumento, utensile, non fine. La seconda, la pace del Cristo, è invece definitiva perché prescinde dalle cose e si fonda sulla roccia dello Spirito che è vita e dà la vita. Noi non saremmo senza il soffio dello Spirito. Ma la pace deve includere la gioia. Se vi è pace vera, vi è anche gioia, ed è per questa ragione che la presenza della pace si misura col metro della gioia. Se non vi è molta gioia in giro e sono in vertiginoso aumento i casi di violenza pubblici e privati, è perché non ci rivolgiamo al Cristo ed alla sua pace.
Ma andiamo a Giovanna d’Arco. La Pulzella d'Orlèans fu condannata dalla scienza teologica del tempo perché ritenuta eretica. Il connubio micidiale fra cultura teologica dell'epoca (francese) e politica (il dominio inglese) la condannò al rogo. Era il 30 maggio 1431. Sarebbe stata riabilitata anni dopo l'atroce morte, nel 1450, e proclamata santa da Benedetto XV nel 1920. Come non riflettere su certa teologia che perde di vista la centralità del messaggio cristiano e che, talvolta e per finalità di potere mondano, civetta con la politica? L'infausta commistione fra gli interessi politici e la cura spirituale mina alle basi la vitalità e la freschezza del messaggio evangelico, la cui cifra peculiare sta nella sua assoluta gratuità, nella sua universalità, nell’essere assolutamente refrattario alle lusinghe del potere, che si convertono in favori e privilegi. Il potere ha un prezzo, le sue liturgie prevedono il ricorso alla furbizia e al compromesso deteriore, mentre il messaggio evangelico è dono e grazia.
Esemplare è la vicenda di Ciro, vescovo di Alessandria, martire nel 303. Fu medico anargiro, cioè senza compenso (letteralmente, senza argento), perché prestava le sue cure a tutti, specie ai poveri, senza farsi pagare. Curò non solo i corpi ma anche le anime, e proprio per consolare Atanasia e le sue tre figlie Eudossia, Teodota e Teotiste, catturate dai Romani, si recò col suo seguace Giovanni d’Edessa a Canopo, dove subì le stesse torture inflitte alle quattro donne. Fu decapitato il 31 gennaio.
Da una parte, quindi, estrapoliamo il monito a non mischiare la fede con il potere, dando a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22,21), sulla scia del resto dell'episodio evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto. Quando il diavolo gli offre tutti i regni del mondo con la loro gloria, quindi il potere, Gesù gli risponde: “Vattene, satana. Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (Mt 4,10). Tre furono le tentazioni, e se il numero tre indica la perfezione o la totalità, è evidente che la terza tentazione fu (ed è) la tentazione "perfetta", quella più subdola ed ostica da vincere, quella che in sé racchiude le prime due, le tentazioni del pane e del prodigio. Il potere dà pane e promette prodigi, cioè cose mirabili sul piano mondano, ed in questo senso esso può dirsi la tentazione per eccellenza, quella che comprende le prime due. Vinta la terza tentazione, solo allora “il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano” (Mt 4,11).
Dall’altra parte c'è la testimonianza di Ciro, un esempio dì gratuità e di testimonianza cristiana, un invito alla carità, che sempre ha a che fare con la persona umana in carne ed ossa. Amando si ottengono vita e pace, per cui se le pratiche di meditazione orientale oggi molto in voga nel mondo occidentale possono avere un effetto rilassante, non possono a stretto rigore considerarsi pratiche spirituali, nel senso che, iniziando e finendo nell’uomo singolarmente inteso, non sono pratiche caritative[2]. In esse si parla di amore universale, di pace, di armonia, ma l’amore universale non ha senso se non soccorre l’altro nelle sue difficoltà particolari, cosicché la pace e l'armonia sono, in quelle discipline filosofiche o meditative, pure astrazioni, vivono più nel mondo delle idee e delle utopie che nella realtà. Con ciò non voglio demonizzarle, ma soltanto evidenziarne i limiti sul piano dell’amore in azione, delle opere, sulle quali saremo giudicati. Alle filosofie della pace ed alle teorie sull'amore, che provengano da est o da ovest, dobbiamo sostituire, contrapporre quasi, ma sempre con mansuetudine e rispetto, la teologia della gioia e dell’amore cristiano, dell’agape, che ha in sé poca teoria e molta pratica.
Prima di incontrare i nostri due Santi, molto venerati nella chiesa del SS. Redentore, vi è una nicchia con una statua di Santa Rita da Cascia. E ci si imbatte in un monito, o meglio in una frase esortativa sul piano spirituale che induce a riflettere. È posta ai piedi di un bel crocefisso: “Questi occhi chiusi guardano ogni pianto”. Tempo fa sono stato a Cascia. Mi recai al cosiddetto “scoglio”, dove Rita andava a pregare. Un luogo romito, impervio, di grande fascino e bellezza, dove tocchi con mano quel tipo di solitudine che è la porta d’accesso alla preghiera del cuore. Uno scoglio posto in alto, che quasi uncina il cielo, contro cui si infrangono le onde del mondo, i suoi clamori, le sue insensatezze. Lo circonda l’invisibile mare dell’eterno in cui Rita amava immergersi. Noi che temiamo la solitudine come i gatti temono l’acqua, e che necessitiamo di chiasso, abbiamo molto da apprendere da questa donna singolare. Una vita tribolata, grandi difficoltà, la morte violenta del marito e quella dei suoi due figli, l’immersione totale nell’amore di Dio, la preghiera nella solitudine di quel luogo, dove in realtà l’anima non è sola ma sperimenta la presenza del Signore. Sgorga dal vangelo il consiglio del Cristo agli oranti: “Tu invece quando preghi, entra nella tua camera, e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt 6,6).
Varcata la soglia del tempio si è abbacinati dall'immagine del Cristo Redentore, l'opera musiva absidale composta di oltre 750.000 tessere realizzata nel 1992 dalla Mosaic Art di Domenico Colledani di Milano su disegni di Gaetano Valerio di Cassano Murge. Il mosaico attrae, colpisce, suggerisce percorsi spirituali, impennate di fede, ma di esso parlerò in seguito.
La chiesa ospita numerose statue di Santi. Uno sguardo ad esse, non meramente legato alla loro fattura ed all’estetica, si impone. Ad esse si collegano antiche quanto feconde devozioni popolari.
Le prime che incontro sono quelle di S. Giovanna D'Arco e di S. Ciro[1]. Traiamone una breve riflessione a beneficio dello spirito e dell'azione, in quanto ogni bagliore spirituale deve poter illuminare il nostro mondo interiore ed influire sulla sfera delle nostre azioni. Nell'uomo non può esserci separazione fra interno ed esterno. Inevitabilmente la sfera interiore si riflette su quella esteriore, i nostri volti narrano le nostre peripezie, dicono della nostra pace interiore o dei nostri conflitti non sanati, e mentre la nostra quiete interiore si fa benevolenza e mansuetudine, apertura sul mondo ed amore verso l'altro, i nostri conflitti si traducono spesso in latitanze o in dolorose ed esacerbanti diatribe. È profondamente vero che le grandi guerre cominciano nel fondo del cuore d'ognuno, quel cuore che, sede dei sentimenti per il popolo ebraico, soltanto Dio può mutare in un cuore di carne, mite ed umile, accogliente ed amorevole. La pace nasce dentro, e anche se una legislazione la imponesse, essa non potrebbe raggiungersi che a condizione di viverla dentro di sé, nel proprio cuore. La pace come la dà il mondo non è la pace come la dà il Cristo. La prima è fragile ed esposta, sotto il profilo politico, alle distorsioni del pacifismo che, essendo una pace ideologica, non può condurre alla vera pace. È una pace senza chiesa, per cui non ha le sue radici in alto, nei cieli, da dove proviene la parola liberante. Nella sua versione materialista, è stordimento da consumo di cose, è droga, è l'appagamento del rapporto 1'erotico. Dura poco, è effimera, e verte sul soddisfacimento dei propri bisogni e delle proprie pulsioni. In questo contesto marcato a fuoco dal materialismo e dal relativismo, l'altro non assurge alla dignità di prossimo, è strumento, utensile, non fine. La seconda, la pace del Cristo, è invece definitiva perché prescinde dalle cose e si fonda sulla roccia dello Spirito che è vita e dà la vita. Noi non saremmo senza il soffio dello Spirito. Ma la pace deve includere la gioia. Se vi è pace vera, vi è anche gioia, ed è per questa ragione che la presenza della pace si misura col metro della gioia. Se non vi è molta gioia in giro e sono in vertiginoso aumento i casi di violenza pubblici e privati, è perché non ci rivolgiamo al Cristo ed alla sua pace.
Ma andiamo a Giovanna d’Arco. La Pulzella d'Orlèans fu condannata dalla scienza teologica del tempo perché ritenuta eretica. Il connubio micidiale fra cultura teologica dell'epoca (francese) e politica (il dominio inglese) la condannò al rogo. Era il 30 maggio 1431. Sarebbe stata riabilitata anni dopo l'atroce morte, nel 1450, e proclamata santa da Benedetto XV nel 1920. Come non riflettere su certa teologia che perde di vista la centralità del messaggio cristiano e che, talvolta e per finalità di potere mondano, civetta con la politica? L'infausta commistione fra gli interessi politici e la cura spirituale mina alle basi la vitalità e la freschezza del messaggio evangelico, la cui cifra peculiare sta nella sua assoluta gratuità, nella sua universalità, nell’essere assolutamente refrattario alle lusinghe del potere, che si convertono in favori e privilegi. Il potere ha un prezzo, le sue liturgie prevedono il ricorso alla furbizia e al compromesso deteriore, mentre il messaggio evangelico è dono e grazia.
Esemplare è la vicenda di Ciro, vescovo di Alessandria, martire nel 303. Fu medico anargiro, cioè senza compenso (letteralmente, senza argento), perché prestava le sue cure a tutti, specie ai poveri, senza farsi pagare. Curò non solo i corpi ma anche le anime, e proprio per consolare Atanasia e le sue tre figlie Eudossia, Teodota e Teotiste, catturate dai Romani, si recò col suo seguace Giovanni d’Edessa a Canopo, dove subì le stesse torture inflitte alle quattro donne. Fu decapitato il 31 gennaio.
Da una parte, quindi, estrapoliamo il monito a non mischiare la fede con il potere, dando a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22,21), sulla scia del resto dell'episodio evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto. Quando il diavolo gli offre tutti i regni del mondo con la loro gloria, quindi il potere, Gesù gli risponde: “Vattene, satana. Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (Mt 4,10). Tre furono le tentazioni, e se il numero tre indica la perfezione o la totalità, è evidente che la terza tentazione fu (ed è) la tentazione "perfetta", quella più subdola ed ostica da vincere, quella che in sé racchiude le prime due, le tentazioni del pane e del prodigio. Il potere dà pane e promette prodigi, cioè cose mirabili sul piano mondano, ed in questo senso esso può dirsi la tentazione per eccellenza, quella che comprende le prime due. Vinta la terza tentazione, solo allora “il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano” (Mt 4,11).
Dall’altra parte c'è la testimonianza di Ciro, un esempio dì gratuità e di testimonianza cristiana, un invito alla carità, che sempre ha a che fare con la persona umana in carne ed ossa. Amando si ottengono vita e pace, per cui se le pratiche di meditazione orientale oggi molto in voga nel mondo occidentale possono avere un effetto rilassante, non possono a stretto rigore considerarsi pratiche spirituali, nel senso che, iniziando e finendo nell’uomo singolarmente inteso, non sono pratiche caritative[2]. In esse si parla di amore universale, di pace, di armonia, ma l’amore universale non ha senso se non soccorre l’altro nelle sue difficoltà particolari, cosicché la pace e l'armonia sono, in quelle discipline filosofiche o meditative, pure astrazioni, vivono più nel mondo delle idee e delle utopie che nella realtà. Con ciò non voglio demonizzarle, ma soltanto evidenziarne i limiti sul piano dell’amore in azione, delle opere, sulle quali saremo giudicati. Alle filosofie della pace ed alle teorie sull'amore, che provengano da est o da ovest, dobbiamo sostituire, contrapporre quasi, ma sempre con mansuetudine e rispetto, la teologia della gioia e dell’amore cristiano, dell’agape, che ha in sé poca teoria e molta pratica.
Prima di incontrare i nostri due Santi, molto venerati nella chiesa del SS. Redentore, vi è una nicchia con una statua di Santa Rita da Cascia. E ci si imbatte in un monito, o meglio in una frase esortativa sul piano spirituale che induce a riflettere. È posta ai piedi di un bel crocefisso: “Questi occhi chiusi guardano ogni pianto”. Tempo fa sono stato a Cascia. Mi recai al cosiddetto “scoglio”, dove Rita andava a pregare. Un luogo romito, impervio, di grande fascino e bellezza, dove tocchi con mano quel tipo di solitudine che è la porta d’accesso alla preghiera del cuore. Uno scoglio posto in alto, che quasi uncina il cielo, contro cui si infrangono le onde del mondo, i suoi clamori, le sue insensatezze. Lo circonda l’invisibile mare dell’eterno in cui Rita amava immergersi. Noi che temiamo la solitudine come i gatti temono l’acqua, e che necessitiamo di chiasso, abbiamo molto da apprendere da questa donna singolare. Una vita tribolata, grandi difficoltà, la morte violenta del marito e quella dei suoi due figli, l’immersione totale nell’amore di Dio, la preghiera nella solitudine di quel luogo, dove in realtà l’anima non è sola ma sperimenta la presenza del Signore. Sgorga dal vangelo il consiglio del Cristo agli oranti: “Tu invece quando preghi, entra nella tua camera, e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt 6,6).
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[1] La statua di S. Giovanna d’Arco fu realizzata nel 1940 da Carmelo Bruno, mentre quella di S. Ciro è del 1946, opera dello scultore Giuseppe Stuffleser.
[2] “Al monologo silenzioso dell’asceta indù sulla stuoia si oppone, non meno silenzioso – poiché non è composto di parole – il dialogo di ogni cristiano, dal più umile al più mistico, ansioso di rispondere alle offerte, alle premure del suo Dio. […] Ora se lo hatha-yoga si adatta, senza troppa difficoltà, a questa esigenza fondamentale, non si può dire lo stesso di altri yoga. Del raja-yoga, per esempio, che nella sua essenza sembra essere il ripiegamento assoluto su di sé, cioè lo stato di chi si è staccato da tutto, anche da ogni conoscenza positiva e obiettiva […]. Una simile tendenza, come chiunque può constatare, è incompatibile con l’essenza del cristianesimo e certamente in contraddizione con l’esperienza dei santi.” Tuttavia alcune tecniche delle discipline yogiche possono favorire la pratica della preghiera e della meditazione cristiane, scartando “tutto ciò che porterebbe soltanto al ripiegamento, all’isolamento”. Jean-Marie Déchanet, Yoga per i cristiani, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, decima edizione, 2002, pag. 22 e segg.
[1] La statua di S. Giovanna d’Arco fu realizzata nel 1940 da Carmelo Bruno, mentre quella di S. Ciro è del 1946, opera dello scultore Giuseppe Stuffleser.
[2] “Al monologo silenzioso dell’asceta indù sulla stuoia si oppone, non meno silenzioso – poiché non è composto di parole – il dialogo di ogni cristiano, dal più umile al più mistico, ansioso di rispondere alle offerte, alle premure del suo Dio. […] Ora se lo hatha-yoga si adatta, senza troppa difficoltà, a questa esigenza fondamentale, non si può dire lo stesso di altri yoga. Del raja-yoga, per esempio, che nella sua essenza sembra essere il ripiegamento assoluto su di sé, cioè lo stato di chi si è staccato da tutto, anche da ogni conoscenza positiva e obiettiva […]. Una simile tendenza, come chiunque può constatare, è incompatibile con l’essenza del cristianesimo e certamente in contraddizione con l’esperienza dei santi.” Tuttavia alcune tecniche delle discipline yogiche possono favorire la pratica della preghiera e della meditazione cristiane, scartando “tutto ciò che porterebbe soltanto al ripiegamento, all’isolamento”. Jean-Marie Déchanet, Yoga per i cristiani, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, decima edizione, 2002, pag. 22 e segg.
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