Esperienze che segnano la vita. Incontri che fanno prendere coscienza che il nostro superfluo è il necessario per molti esseri umani in molte aree dimenticate del mondo. E sorge la consapevolezza che quando ci sentiamo precari è perché sappiamo poco o nulla di ciò che accade altrove, dove il pane e l’acqua sono razionati e le economie sono a pezzi per la disonestà dei governanti e l’egoismo delle nazioni ricche. Dove la vita violentata di una bambina non troverebbe un lenimento ed una promessa di futuro se non fosse per donne come lei, come Suor Maria Mazzone, la costruttrice di micro-città in Zambia, ormai specialista di idraulica, edilizia, agricoltura, non soltanto di preghiere e salterio.
Una donna che non se ne sta con le mani in mano; una missionaria salesiana di straordinaria simpatia ed energia che sul campo accidentato delle povertà si batte ogni giorno per dare amore ed accoglienza a chi ne è stato privato. Pane, amore e dignità, mutuando da un noto film del 1953 diretto da Comencini, Pane amore e fantasia.
Con Flora De Palo, prima che arrivasse Suor Maria per un breve colloquio, ne abbiamo parlato, e lei, che è stata in Africa anche quest’anno per un mese con suo marito Antonio ed un gruppo di giovani del Liceo Scientifico Tedone (non tutti i giovani, come si vede, sono vuoti a perdere), mi ha confidato che ciò di cui Suor Maria va fiera è l’aver portato i meridionali in Zambia. Perché noi sudisti siamo – diciamo la verità – avvinghiati alla nostra terra come le mignatte, poco propensi a lasciare il borgo natio per gli interminabili spazi e povertà africane. Andare in Africa? A fare che? A lavorare? Ma che se la vedessero loro! Forse c’è di mezzo un po’ di lentezza e pigrizia tipiche delle nostre contrade, che d’estate si accentua. E aggiungiamoci pure un pizzico di razzismo che subdolamente si aggira per l’Italia. Arretriamo di fronte ad un uomo di colore perché ci sentiamo migliori di lui, e in questo consiste la nostra condanna umana e culturale, ad essere poi esiliati da ogni colore, dal gusto di ogni alterità, dalla bellezza di ogni nuance. Piazza Matteotti non è l’ombellico del mondo, ma noi ruvesi ancora non ne siamo totalmente consci.
Le missioni sono la prima linea del cristianesimo, le frontiere che danno maggiore credibilità a quanto si predica – talvolta accademicamente e senza tanta convinzione – nelle nostre chiese. Suor Maria, che ha il carisma della simpatia, ha ricevuto un’alta onorificenza pontificia per il suo impegno il 27 settembre scorso in Cattedrale. Ne va fiera e se ne schermisce nello stesso tempo, quasi per non crogiolarsi nei successi ottenuti e nella loro contemplazione e non sottrarre energie ai progetti ai quali sta lavorando. Oggi quel progetto si chiama “City of Joy”, città della gioia. Richiede lavoro e risorse finanziarie che non prendono altre destinazioni, per fortuna. Ciò che si dona si vede e può toccarsi con mano. Diamole una mano, ciascuno secondo le proprie possibilità, con totale ed incondizionata fiducia.
Ma durante il nostro cordialissimo colloquio abbiamo toccato altri argomenti, lambito teneramente altre figure di uomini che si sono impegnati e si prodigano per gli altri. Suor Maria si è soffermata su Padre Michele Catalano, missionario per 60 anni in Sri Lanka, che ha incontrato in ospedale, a Corato, ricevendone una benedizione che l’ha commossa. E che dire di Mons. Bello? Le ho chiesto se lo avesse mai incontrato. Sulla porta della sua camera in Zambia c’è il Servo di Dio, mi ha confidato, dal quale quasi tutti i suoi nipoti ricevettero la cresima e sua madre Margherita una carezza quando era degente. Infine, un sincero apprezzamento per l’opera di Mons. Nicola Girasoli, il quale sta facendo molto bene. Non è soltanto un fine diplomatico, ma anche un sacerdote, un pastore che visita il gregge che gli è stato affidato e ne ha cura.
Abbiamo parlato anche di spiritualità, soprattutto del dovere di amare il forestiero, di dargli accoglienza. Un tema di scottante attualità che, per donne come Suor Maria, abituate a non distinguere fra neri e bianchi, ma solo fra poveri e poverissimi, non ammette i distinguo e le ambivalenze di certa politica.
Una donna che non se ne sta con le mani in mano; una missionaria salesiana di straordinaria simpatia ed energia che sul campo accidentato delle povertà si batte ogni giorno per dare amore ed accoglienza a chi ne è stato privato. Pane, amore e dignità, mutuando da un noto film del 1953 diretto da Comencini, Pane amore e fantasia.
Con Flora De Palo, prima che arrivasse Suor Maria per un breve colloquio, ne abbiamo parlato, e lei, che è stata in Africa anche quest’anno per un mese con suo marito Antonio ed un gruppo di giovani del Liceo Scientifico Tedone (non tutti i giovani, come si vede, sono vuoti a perdere), mi ha confidato che ciò di cui Suor Maria va fiera è l’aver portato i meridionali in Zambia. Perché noi sudisti siamo – diciamo la verità – avvinghiati alla nostra terra come le mignatte, poco propensi a lasciare il borgo natio per gli interminabili spazi e povertà africane. Andare in Africa? A fare che? A lavorare? Ma che se la vedessero loro! Forse c’è di mezzo un po’ di lentezza e pigrizia tipiche delle nostre contrade, che d’estate si accentua. E aggiungiamoci pure un pizzico di razzismo che subdolamente si aggira per l’Italia. Arretriamo di fronte ad un uomo di colore perché ci sentiamo migliori di lui, e in questo consiste la nostra condanna umana e culturale, ad essere poi esiliati da ogni colore, dal gusto di ogni alterità, dalla bellezza di ogni nuance. Piazza Matteotti non è l’ombellico del mondo, ma noi ruvesi ancora non ne siamo totalmente consci.
Le missioni sono la prima linea del cristianesimo, le frontiere che danno maggiore credibilità a quanto si predica – talvolta accademicamente e senza tanta convinzione – nelle nostre chiese. Suor Maria, che ha il carisma della simpatia, ha ricevuto un’alta onorificenza pontificia per il suo impegno il 27 settembre scorso in Cattedrale. Ne va fiera e se ne schermisce nello stesso tempo, quasi per non crogiolarsi nei successi ottenuti e nella loro contemplazione e non sottrarre energie ai progetti ai quali sta lavorando. Oggi quel progetto si chiama “City of Joy”, città della gioia. Richiede lavoro e risorse finanziarie che non prendono altre destinazioni, per fortuna. Ciò che si dona si vede e può toccarsi con mano. Diamole una mano, ciascuno secondo le proprie possibilità, con totale ed incondizionata fiducia.
Ma durante il nostro cordialissimo colloquio abbiamo toccato altri argomenti, lambito teneramente altre figure di uomini che si sono impegnati e si prodigano per gli altri. Suor Maria si è soffermata su Padre Michele Catalano, missionario per 60 anni in Sri Lanka, che ha incontrato in ospedale, a Corato, ricevendone una benedizione che l’ha commossa. E che dire di Mons. Bello? Le ho chiesto se lo avesse mai incontrato. Sulla porta della sua camera in Zambia c’è il Servo di Dio, mi ha confidato, dal quale quasi tutti i suoi nipoti ricevettero la cresima e sua madre Margherita una carezza quando era degente. Infine, un sincero apprezzamento per l’opera di Mons. Nicola Girasoli, il quale sta facendo molto bene. Non è soltanto un fine diplomatico, ma anche un sacerdote, un pastore che visita il gregge che gli è stato affidato e ne ha cura.
Abbiamo parlato anche di spiritualità, soprattutto del dovere di amare il forestiero, di dargli accoglienza. Un tema di scottante attualità che, per donne come Suor Maria, abituate a non distinguere fra neri e bianchi, ma solo fra poveri e poverissimi, non ammette i distinguo e le ambivalenze di certa politica.
Bellissimo articolo, bellissima donna . . .
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