domenica 11 ottobre 2009

Dedicato ad un Artista


FRA DANZA E CINEMA: MAX CAMPAGNANI

Un connubio difficile da immaginare, ma non impossibile. Lo testimonia la vicenda umana e culturale di Max Campagnani, le cui origini “miste” appulo-sarde (madre pugliese, padre sardo) con vissuto toscano (nacque a Firenze) ne hanno innervato il tessuto interiore e condizionato il talento, dando origine a quella vena feconda ed eclettica di caparbietà ed estroversione, di simpatia fiorentina e di solarità meridionale, di apertura sudista e distacco isolano che lo rendono quasi unico nel suo genere.
Danza e cinema esprimono approcci culturali diversi al tema della vita, colta, nel primo caso, come movenza dell’essere e del sentire, nel secondo come rappresentazione di storie, vicende, episodi che pur sempre tracimano dal mondo interiore, da quel luogo intimo che detta i veri ritmi dei nostri giorni. Perché, in fondo, tutto è interiorità che si manifesta e trapela sotto forme e simboli differenti: un passo di danza, una coreografia, una scena, un ciak che dinamizza la stasi dell’attimo prima. E in comune c’è sempre una colonna sonora, una composizione di suoni, ora drammatici ora suadenti, che accompagna tanto la danza quanto un cortometraggio.
Il fiorentino Max Campagnani è un coreografo-regista, ma questo secondo stigma apparve quasi per caso. Comparve e diede frutti insperati, cosa che accade tutte le volte che non si sa di possedere una virtù o una qualità che procedono oltre la consuetudine del già sperimentato. Così come ci furono artisti che non seppero di esserlo, c’è stato Max che ad un certo punto, spinto forse dal daimon di cui ha scritto egregiamente James Hillman nel “Codice dell’Anima”, ha girato un cortometraggio, “Scie”, che, come scrisse il quotidiano L’Arena, è “un capolavoro di quattro minuti realizzato con due lire ed in soli due giorni nel 1998, qui a Verona, e primo premio assoluto al Videofestival Riccione TTV 1999, dove ha battuto “corti” costati centinaia di milioni”. “Scie” sorvolò l’oceano per essere proiettato, con altrettanto successo, a San Francisco e a New York.
Dall’Aterballetto e dal Florence Dance Theatre, da Russillo, Ezralow e la mitica Carla Fracci, dall’organico dell’Arena di Verona, al cinema. Il passo sembra essere stato breve, ma sofferto. Di qui la fuga da quel mondo di repliche esose per il mondo del cinema, passando attraverso insofferenza e curiosità. Per parlare di se stesso, in fondo, per riagganciare quella parte di sé che, per ogni essere umano, è sempre a rischio di offuscamento se non le si presta ascolto. Per dare voce e contenuto artistico a quel cammino interiore che pensava di poter percorrere nel mondo della danza e della coreografia.
Quando gli ho parlato - giacché adesso vive a Ruvo di Puglia (strano a dirsi!) e collabora con l’Ateneo della Danza di Simona Di Domenico e con Danzarte di Anna Mezzina di Terlizzi -, ne ho colto tanto l’inflessione di incredulità quanto la tempra del combattente. Max non si capacita ancora dell’assordante silenzio che, in una realtà bisognosa di novità e di stimoli qual è Ruvo, circonda la sua discreta presenza, alla quale si potrebbe attingere a piene mani, se solo si volesse. Egli non si impone, tende a proporsi, ed è mio vivo auspicio che qualcuno si accorga di lui e se ne serva, al di fuori dei soliti addentellati e circuiti politici che, com’è noto, spesso sponsorizzano o foraggiano autentiche porcherie. È uno spreco esiliare i veri talenti ed è peccato mortale condannarli alla morte civile o alla dimenticanza. Ma ecco soccorrerlo la tempra del combattente, dell’uomo che non si arrende, che talvolta arretra per riprendere slancio e vigore. Per tale ragione recondita ed inconscia forse vive qui oggi, in Puglia, in una terra che sa solo di fatiche e di sudori, per dissodare a suo modo la nostra realtà.
Non mi resta altro da aggiungere che un augurio sincero ad un uomo e ad un’artista che, se ballando ha conosciuto il mondo del palcoscenico e ha fatto esperienza della follia redenta, mettendosi in gioco ha conosciuto la vita e ha ancora molto da insegnare, specie a noi ruvesi, spesso nostalgici del passato e amanti del dolce status quo.
Max Campagnani rappresenta un’occasione di lambire il futuro. Andiamogli incontro con affetto e fiducia, senza remore e paure.

Salvatore Bernocco

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