domenica 25 luglio 2010

LA CABALA

Il giovane Pasquale De Palo lascia la segreteria del PD ed al suo posto si insedia Caterina Montaruli, frequentatrice di lungo corso della politica ruvestina, già candidata a sindaco per il centrosinistra e consigliere comunale. La scelta della Montaruli sembra derivare da un accordo fra l’area degli ex popolari (grassiani), quella che fa capo all’Assessore regionale Minervini e qualche ex pidiessino. Non tutti erano d’accordo, al di là della raggiunta unanimità. Obiettivo inconfessato: arginare l’influenza politica di qualcun altro? Potrebbe darsi, non mi meraviglierei più di tanto. Ci sono incrostazioni e vecchie logiche che potrebbero dileguarsi solo se ci fosse un generale repulisti, cosa altamente improbabile. Le rivoluzioni radicali non piacciono a nessuno, specie nella nostra Ruvo dove gli intrecci parentali ed amicali (e gli interessi personali e di cordata) condizionano pesantemente il quadro politico e la sua evoluzione. Ma non sono bene accette neppure le mezze rivoluzioni, un po’ per amore del quieto vivere, un po’ perché si temono ripercussioni, punizioni trasversali, convergenze parallele. E mi sovviene quanto mi confidò mio padre anni or sono con riguardo all’ambito politico e non solo: a Ruvo tutti hanno paura di tutti. Le pecore prevalgono, e di molto, sui leoni. Le lepri, poi, non si contano, e le iene e gli avvoltoi si aggirano minacciosi intorno ai presunti cadaveri politici.
A ben vedere, quindi, le rivoluzioni non piacciono proprio, e ciò è segno di stagnazione e di chiusura. Lo stesso ex segretario del PD è stato molto esplicito al riguardo nel corso della sua brillante ed applaudita relazione, quando ha detto che a Ruvo “il tempo degli “ex-qualcosa” è finito, il tempo dei “neo” non è ancora maturato, ma nel contempo si sono create e solidificate diverse sensibilità nel nostro partito ruvese, sulla base di fattori aggreganti a me poco chiari. Si è scelta la strada breve dell’individuare l’unitarietà delle candidature, quella facile dei numeri, non già quella della condivisione di percorsi ed obiettivi.” Il questo passaggio c’è tutto il reale disagio di un giovane segretario che ha dovuto prendere atto della mancata rivoluzione, totale e parziale, che è prima culturale e quindi politica. È storia francamente non nuova, e mi sorprende che ci si possa ancora sorprendere del fatto che la politica tenda a rinnovare se stessa senza rinnovare un fico secco, in un gioco lezioso di parole che fanno da contorno a scenari triti e ritriti. Il Gattopardo docet. In politica si va dall’estetista per rifarsi il look e dare una limata alle unghie, che comunque restano ben affilate come lame di coltelli. Questa è la politica con la “p” minuscola. Le maiuscole appartengono al mondo delle utopie e soltanto agli esordi dei periodi. Non è forse vero che in ortografia il punto è seguito dalla lettera maiuscola? Dopo, inevitabilmente, seguono le minuscole, e dal Bolscioi si transita ai teatrini di provincia, maleodoranti e pregni di fumo, in un batter d’occhio, con tutto, o quasi, il carro di Tespi. Durante il tragitto i meloni si assestano: non si deve disturbare il manovratore, e con gli altri meloni è saggio andare d’amore e d’accordo. Dal lifting e dall’alta chirurgia plastica alla cafonaggine delle dita nel naso il passo è breve, talvolta impercettibile. Molti se ne accorgono ma si distraggono e girano la testa dall’altro lato: il galateo lasciamolo ai salotti e alle cene di gala, la politica è lacrime e sangue, dicono, sgomitate e compromesso, perché no! La polvere intanto si deposita sui mobili delle tradizioni e delle culture politiche d’origine. Le occasioni mancate gridano vendetta al cospetto dei grandi del pensiero politico e di quanti, di tutti gli schieramenti politici, consentirono a Ruvo di fare un salto di qualità, molto, ma molto tempo addietro.
Intanto il centrosinistra candiderà chi? Stragapede? Ottombrini? Crispino? Le scommesse sono aperte. Siamo alla cabala. Varrà la logica del consenso interno o quella della qualità programmatica? Si terrà conto del gradimento dell’opinione pubblica o dei consuntivi? Si partirà, come è giusto che sia, da un esame dell’attività amministrativa svolta o non svolta in questi cinque anni, evidenziandone luci ed ombre, terrazzi e scantinati, oppure se ne farà pregiudizialmente a meno, aderendo all’invalso luogo comune per cui questa Amministrazione ha fatto poco o non ha fatto niente?
Nel PDL siamo alla bagarre. Accuse incrociate, minacce di stroncare carriere e di commissariamenti sono state affidate a documenti di chiara provenienza, a dichiarazioni più o meno pubbliche e alle voci della notte. Giovanni Mazzone, e non solo, si è opposto a Matteo Paparella, il quale ha messo sul tavolo una questione politica: l’autoreferenzialità del direttivo del PDL, sublimando il disagio del coordinatore Salvatore Barile e mettendo sul banco degli imputati Mazzone, il quale, come altri dirigenti del PDL, devono “dimostrare di avere una personale legittimazione elettorale verificabile con consultazioni elettorali amministrative che ne attestino il reale radicamento sul territorio. Trattasi evidentemente di un antica regola democratica propedeutica per legittimare aspettative personali elettive comunque di rappresentanza a tutti i livelli”.
Intelligenti pauca. Qui c’è sotto la questione dei patti non mantenuti, che siano della crostata, della braciola o del caminetto poco importa. Chi fu a rompere il patto di ferro fra le componenti interne, ora carta straccia, Paparella o Fitto? Avrebbe potuto il candidato locale del PDL alle Regionali opporre il grande rifiuto, alla maniera di Celestino V? Che cosa si siano detti Fitto e Paparella non si sa. I colloqui sono privati e coperti da una coltre di segreto. Tuttavia, secondo un’antica quanto saggia regola, pacta sunt servanda, i patti si onorano. Sempre. Il proprio contributo consistente alla campagna elettorale di un altro si può dare anche stando dietro le quinte, lavorando per questi dopo che questi si è prodigato in altre occasioni. Non si deve lavorare solo per se stessi. Su questo ci sono pochi dubbi: le parole date non si ritirano, se non in un caso, se c’è l’accordo comune ed una nuova intesa. Nel frattempo, chi subisce i contraccolpi di questa querelle è il candidato a sindaco del centrodestra, Franco Catalano, lanciato in tempi di bonaccia, forse con largo anticipo. Alcuni danno ora in bilico la sua candidatura, indebolita dalla frattura interna al PDL, che potrebbe aprire scenari inediti. Di certo c’è che, come un regno diviso al suo interno è destinato a perire, così una coalizione lacerata semplicemente non c’è più, è destinata ad implodere. E, temo, a seppellire chi avrebbe dovuto condurla alla vittoria.

Salvatore Bernocco
Copyright 2010 Il Rubastino

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