domenica 25 luglio 2010

LA TRADIZIONE TRADITA

Dovremmo partire da un’analisi semantica. Che cosa significa tradizione? Da dove deriva questo termine talvolta abusato, conculcato per transitorie quanto incomprensibili motivazioni, legate alle mode o, peggio ancora, ai capricci di qualcuno?
Dunque, il termine tradizione viene dal latino traditio-onis, ‘consegna, trasmissione’, e deriva da traděre, ‘consegnare’. La tradizione reca in sé il suo tradimento, giacché il verbo tradire deriva anch’esso da traděre. Forse non è un caso. È arduo conservare integro quanto ci è stato tramandato da coloro che ci hanno preceduto, un po’ per sciatteria, un po’ per lassismo, un po’ per il maledetto nuovismo, che è una forma di nevrosi, e un po’ perché vi è il vezzo di voler lasciare un’impronta, la propria, sul suolo della tradizione, come accade alle star di Hollywood sulla Hollywood Boulevard, la celeberrima "strada delle stelle", disseminata di impronte dei divi sul cemento. Un’orma o una ferita. Il risultato è lo stesso che è dato osservare quando un pavimento musivo secolare viene calpestato da centinaia di piedi villici e rozzi: non si distingue più il disegno; i tasselli sopravvissuti appaiono scoloriti; alcune aree sono scarnificate. Insomma, una devastazione che griderebbe vendetta al cospetto di un’autorità garante delle tradizioni, che purtroppo non è stata ancora istituita.
Questo proemio è inerente alla nostra tradizionale festa dell’Ottavario del Corpus Domini, che si tiene nel mese di giugno (almeno questo è scontato e non è soggetto a stravolgimenti). Lo scenario non è più quello tradizionale, ma quello deciso da non si sa bene chi e perché. C’erano una volta cinque altari, cinque momenti di sosta per onorare il SS. Sacramento, in devoto raccoglimento: Piazza Bovio, Corso Carafa (S. Giacomo al Corso), Piazza Matteotti, Porta Nuova (Purgatorio), Piazza Menotti Garibaldi. Questa volta ci sono state tre soste ed un nuovo giro del corteo processionale, che si è snodato per Via Corato e ha fatto tappa nei pressi dell’Ospedale. Il centro storico è andato a farsi benedire. Zero soste, nessun altare: un contributo all’abbandono di un’area che andrebbe valorizzata e che è stata destinata a zona di sosta, sì, ma di autovetture. È sopravvissuta Piazza Matteotti, dove, a detta di molti presenti, il Vescovo ha dettato una meditazione incentrata più sul rispetto delle tradizioni, che palesemente non c’è stato, che sul significato religioso della festa del Corpus Domini. Scarsissimo il raccoglimento, a cui pure i sacerdoti avevano richiamato i fedeli durante le messe celebrate la domenica mattina. Probabilmente ha complottato lo svolgimento contestuale del mercato, enfaticamente chiamato fiera, che, sempre secondo la tradizione, non dovrebbe tenersi. Il mercato, per consuetudine, si tiene infatti il sabato mattina lungo l’Estramurale Pertini, e là dovrebbe restare confinato, senza interferire con la festa religiosa. Glissiamo sul programma delle iniziative di contorno, ancora una volta deludenti. Per mancanza di fondi? Per la mancata contribuzione dei ruvesi? Anche per queste ragioni, certo, sebbene non si veda perché si debba contribuire a sostenere tradizioni che poi verranno tradite e stravolte.
Già numerose – orami innumerevoli – volte, la Pro Loco ha richiamato l’attenzione delle istituzioni civili e religiose sulla necessità di salvaguardare le tradizioni culturali, religiose, popolari della nostra città, dedicando riflessioni pubbliche puntuali proprio alla festa patronale dell’Ottavario del Corpus Domini. Dobbiamo constatare che il silenzio sul punto è frastornante. Nessuna iniziativa degna di nota è stata assunta per rimettere ordine nel caos della festa ed arginare le mene di qualcuno.
La festa patronale è patrimonio di tutti i ruvesi. Non è appannaggio di questo o di quello. Se si partisse da questo assunto di base, probabilmente si farebbe qualche passo avanti. Purtroppo temiamo che anche questa volta il nostro appello cadrà nel vuoto, certificando l’insensibilità di certi poteri nei confronti di un paese che vanta tradizioni secolari.

Salvatore Bernocco

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