In origine vi è il disegno, preceduto semmai dal tratto, dallo schizzo, che ne è un avanzamento verso il “prodotto finito”, il dipinto.
Ma non si creda che il disegno non possa avere e non abbia una sua propria autonomia, una sua propria vita nel contesto dell’arte del ritratto o pittorica.
Così, senza eccessiva forzatura, potrei affermare che vi sono disegni che non balbettano il soggetto pittorico, ma che essi stessi sono temi finiti, consegnati ai cultori del bello, forse meno alla categoria leziosa dei critici, i quali spesso amano crogiolarsi nei codici consolidati (non a caso il grande De Chirico sosteneva che nessun uomo serio e coscienzioso potrebbe attribuirsi il titolo di ‘critico d’arte’). Se compito dell’artista non è rappresentare ma esprimere, come sosteneva van Gogh, è immediato concludere che un disegnatore è un artista a tutto tondo al quale non manca nulla, né talento né espressività; anch’egli è un tornitore di sensi, come un vasaio all’opera al suo tornio, una mano che si libra su un foglio bianco per dare espressione visiva e simbolica a quel mondo interiore che scalcia e scalpita, che si agita a contatto col visibile, che tenta di ritrarne i contenuti estetici a partire da una percezione intima e soggettiva, anch’essa estetica, talvolta nevrotica, il che accade tutte le volte che il futuribile titilla l’anima, tentandola ad una affannosa ed estenuante ricerca di novità di fogge e contenuti.
Qui si va ben oltre l’invito alle forme semplici di Cézanne (“Trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono”) o le sei leggi della pittura citate da Shieh Ho, poiché si procede oltre le regole e certo formalismo . Qui si parla di Spirito , il quale talvolta troverebbe arduo adattarsi alla carne, secondo la tesi del grande umanista francese Jean Guitton, sebbene sia lungi da me la visione platonica della scissione fra anima e corpo, più convincente e prossima al vero quella olistica. Eppure per chi coltiva le arti pare si determini una frattura insanabile fra lo “spirito” ed il “bruto”, che Charles Baudelaire, l’inverecondo autore della raccolta poetica Les Fleurs du Mal, esponeva con schietta rozzezza nell’approccio diverso alla sessualità dell’artista rispetto al popolano (“Più l’uomo coltiva le arti, meno scopa. Si ha un divorzio sempre più sensibile fra lo spirito ed il bruto. Soltanto il bruto fotte bene, e fottere è il lirismo del popolo”).
Il testo “Nel Segno del Tratto – Disegni del Novecento Pugliese”, egregiamente curato da Carmelo Cipriani e Domenico Toto, è un inno allo Spirito, un’appendice preziosa e finanche necessaria al volume “Echi dal Novecento Pugliese. Omaggio a Domenico Cantatore”, anch’esso offertoci dai due curatori nel contesto della mostra omonima svoltasi a Ruvo di Puglia dal 26 luglio al 9 agosto del 2008, il quale già conteneva alcuni disegni di Domenico Cantatore (ad esempio, i ritratti di Leonardo Sinisgalli e di Caterina Lelj, entrambi del 1938).
Anche “Nel Segno del Tratto – Disegni del Novecento Pugliese” scaturisce dalla omonima mostra tenutasi nell’ex Convento dei Domenicani di Ruvo dal 10 al 20 settembre del 2009, e ci presenta una raffinata carrellata di disegni di artisti del calibro di Francesco Saverio Netti, Gioacchino Toma, Geremia Re, Francesco Di Terlizzi e Domenico Cantatore, Giuseppe Ar, Antonio Lanave, Antonio Piccini ed altri di non minore talento e tecnica.
Un testo, quello di Cipriani e Toto, che spazia con leggerezza e leggiadria nel mondo del tratto, impropriamente reputato parente povero dell’opera pittorica, e che ci allerta sulla urgenza di conservare e promuovere un patrimonio culturale che, se sa di antico, ci restituisce per tale ragione alle nostre origini, ai volti, alle fisionomie, ai luoghi di un tempo, passato solo per l’incuria, la superficialità e la volgarità di chi, non amando il bello ed ignorando lo Spirito, inevitabilmente sottovaluta o distrugge.
Salvatore Bernocco
Copyright 2010 - Studi Bitontini, n. 88/2009
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