Non sono fra i poeti (minori o minimi) tristi e malinconici. Non amo i versi che incrinano la speranza, come anche certa letteratura che deturpa la realtà, che ne fa una variante impazzita e sconcia della vita. Amo la speranza come amo la vita, quella che stamani mia madre mi ha mostrato quando, all’improvviso, dopo la pioggia, si è disteso un arcobaleno sul mare. Mi ha chiamato con voce squillante e meravigliata, come se quel fenomeno fosse apparso per la prima volta sulla scena del mondo, e mi ha detto: “Vedi, è apparso l’arcobaleno!”. Il freddo pungente del mattino – era il primo giorno del nuovo anno – si è misteriosamente dileguato e ha fatto la sua comparsa un tepore intimo che mi ha sussurrato sentimenti di letizia. Cos’è l’esperienza di Dio se non esperienza di unità interiore, di serenità e di pace, di calore che non ha niente a che fare con una bella giornata di sole? Quando piove, quanto infuria la tempesta, soltanto allora sappiamo di sentire, e sentendo conosciamo le seduzioni dello Spirito, imbastiamo con Lui intimi dialoghi senza parole, che si sviluppano attraverso giochi di sguardi e rimandi, attrazioni e ispirazioni, come fra due innamorati che sospirano al chiaro di luna. La parola si dilegua e sul cuore si distende l’arcobaleno dell’Amore che con gemiti inesprimibili muta il ritmo del tempo, detta cadenze oltremondane. La poesia si fa sotto Sua dettatura. E sono versi di portata e comprensione universali. Ecco Amore, ecco Poesia.
So bene che genitrice della poesia è la melanconia, quella forma di dolce tristezza che ci pervade. Ma so anche che l’amore sorpassa la malinconia, che deve sottrarle terreno fertile per piantarvi la semente degli innamorati. Sono semi che vanno collocati in profondità, nelle profondità dell’anima, affinché i rapaci non se ne nutrano e ne facciano strage.
Desolazione, solo desolazione residua se Amore va via o viene rapito o sottratto allo sguardo interiore. Immaginiamo che un treno stia partendo, portando con sé lontano il soggetto del nostro Amore. Agitiamo un fazzoletto bianco e ricamato, mentre calde lacrime ci rigano le guance. Amore ci sorride con mano aperta mentre il cuore si chiude. Torneremo alle ordinarie cose, ma ogni cosa saprà di quell’addio.
Non tutti gli amori crescono e si fanno Amore, così spetta ai poeti l’arduo compito di far sgorgare versi dalle loro profondità a beneficio degli amanti felici, per curare un cuore smarrito o ferito, per lenirne le sofferenze, per generarne paradossalmente di nuove. Già, se ne generano di nuove e si rievoca il dolore per farne materia di inquietudini redente. Toccare dolenti sensibilità è il modo raffinato di sublimare il dolore. Il verso lo assorbe e, pian piano, ne fa cibo per la memoria, quindi senno di poi, infine esperienza.
Ma faccio subito ammenda, perché l’esperienza serve all’Amore quanto un pizzico di sale al mare. La forza dell’Amore sta nella sua perenne novità. Ai poeti la facoltà di tenerne viva l’inesperienza.
Anche chi si cimenta nello scrivere storie d’amore sa bene che è al limite delle possibilità letterarie contenerlo nella camicia di forza di pochi righi, rattrappirne i contenuti ed i significati. Non esiste una breve storia d’amore; per gli amanti dell’Amore esso tracima l’argine delle pagine, vuole contaminare i luoghi, espandersi, perdersi, giocare a nascondino, celiare, far lacrimare. Chi vi è parzialmente riuscito ha compiuto un piccolo prodigio.
Vive congratulazioni alle vincitrici del nostro concorso, giunto alla seconda edizione. È un caso che si tratti di due rappresentanti del genere femminile? Forse sì, forse no. Di vero c’è che la donna ha una sensibilità esaltata da secoli di mancate promesse d’amore.
Un grazie sincero a tutti coloro che si sono messi alla prova e ai componenti della giuria. Un abbraccio fraterno a Luigi Zazzarini, paziente tessitore di trame organizzative.
So bene che genitrice della poesia è la melanconia, quella forma di dolce tristezza che ci pervade. Ma so anche che l’amore sorpassa la malinconia, che deve sottrarle terreno fertile per piantarvi la semente degli innamorati. Sono semi che vanno collocati in profondità, nelle profondità dell’anima, affinché i rapaci non se ne nutrano e ne facciano strage.
Desolazione, solo desolazione residua se Amore va via o viene rapito o sottratto allo sguardo interiore. Immaginiamo che un treno stia partendo, portando con sé lontano il soggetto del nostro Amore. Agitiamo un fazzoletto bianco e ricamato, mentre calde lacrime ci rigano le guance. Amore ci sorride con mano aperta mentre il cuore si chiude. Torneremo alle ordinarie cose, ma ogni cosa saprà di quell’addio.
Non tutti gli amori crescono e si fanno Amore, così spetta ai poeti l’arduo compito di far sgorgare versi dalle loro profondità a beneficio degli amanti felici, per curare un cuore smarrito o ferito, per lenirne le sofferenze, per generarne paradossalmente di nuove. Già, se ne generano di nuove e si rievoca il dolore per farne materia di inquietudini redente. Toccare dolenti sensibilità è il modo raffinato di sublimare il dolore. Il verso lo assorbe e, pian piano, ne fa cibo per la memoria, quindi senno di poi, infine esperienza.
Ma faccio subito ammenda, perché l’esperienza serve all’Amore quanto un pizzico di sale al mare. La forza dell’Amore sta nella sua perenne novità. Ai poeti la facoltà di tenerne viva l’inesperienza.
Anche chi si cimenta nello scrivere storie d’amore sa bene che è al limite delle possibilità letterarie contenerlo nella camicia di forza di pochi righi, rattrappirne i contenuti ed i significati. Non esiste una breve storia d’amore; per gli amanti dell’Amore esso tracima l’argine delle pagine, vuole contaminare i luoghi, espandersi, perdersi, giocare a nascondino, celiare, far lacrimare. Chi vi è parzialmente riuscito ha compiuto un piccolo prodigio.
Vive congratulazioni alle vincitrici del nostro concorso, giunto alla seconda edizione. È un caso che si tratti di due rappresentanti del genere femminile? Forse sì, forse no. Di vero c’è che la donna ha una sensibilità esaltata da secoli di mancate promesse d’amore.
Un grazie sincero a tutti coloro che si sono messi alla prova e ai componenti della giuria. Un abbraccio fraterno a Luigi Zazzarini, paziente tessitore di trame organizzative.
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