giovedì 14 luglio 2011

LA CITTA' DELLE DONNE, OVVERO AMALIA

Quando alcune donne, nate dall’unione tra maschi e femmine, fondarono la loro città, dopo la fuga dal regno dei maschi ed un esodo durato moltissimi anni (alcuni storici parlano di 40 anni), decisero di darle il nome della prima martire della lotta di liberazione, lapidata perché aveva osato mettere in dubbio l’umanità del suo uomo, sposato senza il battesimo dell’amore, e per giunta fissandolo negli occhi. Ora la città di Amalia, che contava a quale tempo circa diecimila abitanti, distava poche miglia dal mare, le cui onde accarezzavano o schiaffeggiavano pietre e rocce, e sorgeva ai piedi di una collina da cui, in primavera, scendevano lentamente a valle odori di fresco e fiori ed erba bambina.
A capo della città vi era un triumvirato che restava in carica tre anni e che veniva eletto da un consiglio composto di trenta sagge, scelte per alzata di mano nell’agorà, al cui centro svettava la statua di marmo della martire. Saggia era considerata ogni donna che si fosse distinta per femminilità ed indipendenza, operosità ed intelligenza, e che, soprattutto, avesse dato prova di non rimpiangere l’uomo, sebbene – benché fosse illegale – talune, le più anziane, custodissero gelosamente le reliquie di indumenti od oggetti appartenuti ai loro avi di genere maschile.
Le più giovani non avvertivano il sentimento dell’amore, non sapevano cosa fosse quell’alchimia di cui si leggeva nei testi scolastici e che conduceva uomini e donne ad unirsi e a procreare. Quell’alchimia era rubricata alla voce amore, con postille e note a piè di pagina relative a dolori, illusioni e sofferenze. Molte associavano quel dolore dell’anima a quello fisico o a quello mestruale.
La regola era l’omosessualità. L’alternativa era la solitudine.
Ma come impedire l’estinzione del genere femminile? Come impedire che la città di Amalia si popolasse di vecchie dai grembi sterili e si estinguesse? Come perpetuare la specie in assenza del seme maschile? In un primo tempo si pensò di ricorrere alla scienza, alla biologia. Fu finanziato un progetto per creare sperma maschile dal nulla, da un insieme di piante che si diceva possedessero virtù magiche. La sperimentazione diede esito negativo. Fu per tale ragione che, scartata la scienza, dopo una consultazione popolare si pervenne alla decisione di importare dall’esterno seme maschile di origine controllata. La fecondazione assistita avrebbe risolto il problema della denatalità e del progressivo invecchiamento della popolazione. Alcune ambasciatrici si recarono all’estero e comprarono quantità cospicue di seme maschile. La questione successiva fu: cosa farne di embrioni maschili? In fondo, sostenevano le più ciniche, non si poteva parlare in senso stretto di figli, ma di procreati per ragioni di carattere sociale. Si poteva senza alcuna perplessità procedere alla loro soppressione. La donna doveva conservare il primato. Un maschio, uno solo, avrebbe rotto l’equilibrio. Il serpente si sarebbe intrufolato nel loro giardino e messo a soqquadro le loro vite, proprio come accadde all’origine dei tempi quando si consumò la scissione fra uomo e donna.
L’etica, la morale. Potevano queste “sovrastrutture” aeree imporre una nuova visione della vita? Non era la vita un fatto in sé, più prossima al materiale che allo spirituale? Vennero consultate alcune sacerdotesse del dio Sole, le quali sentenziarono che ogni cosa aveva un’anima, era pervasa dallo spirito. Lo spirito non si vedeva, non lo si poteva toccare, ma era in ogni fibra di ogni essere, dal più piccolo al più grande. Se si uccideva una creatura, che fosse una formica o un uomo, si commetteva un delitto contro il dio Sole. Il conflitto fra religione e Stato diede così luogo ad una lunga diatriba, finché si giunse a sancire la libertà della religione dallo Stato e dello Stato dalla religione. La legge avrebbe tenuto conto della libertà di coscienza, ed una commissione composta di due donne e di due sacerdotesse avrebbe vigilato sull’applicazione del principio.
Una grande filosofa di Amalia scrisse il “Trattato delle cose divine e dello spirito”, in cui introdusse la nozione di relazione fra diversi e di coesistenza delle differenze. Per salvare il genere femminile non si poteva prescindere non già dal seme maschile – fatto puramente meccanico o genetico - ma dall’uomo che si fosse sollevato alle altezze dell’anima, facendo perno sulla forza dello spirituale per dare senso alle cose materiali. Uomini, quindi, non puramente maschi.
Dall’importazione di seme si passò, progressivamente, a consentire l’accesso di uomini dotati di virtù. Non tutti coloro che entrarono nella città di Amalia si mostrarono all’altezza dello spirituale, ma questo – si convenne – era frutto della limitatezza dell’animo di uomo e donne. Su questa comune consapevolezza si costruì il futuro di Amalia, che fu popolata di donne gravide e di uomini con un anima pulsante.
Amalia prosperò e qualcuno la paragonò alla Città del Sole di Tommaso Campanella.

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