domenica 21 luglio 2013

LUMEN FIDEI

LUMEN FIDEI 22 luglio 2013 alle ore 8.20 La prima enciclica di Papa Francesco, scritta a quattro mani conBenedetto XVI, affronta il nodo della fede nelle società secolarizzate. Vi aveva messo mano Benedetto XVI. Ma recail segno del nuovo papa, Francesco. Oggetto della enciclica “Lumen Fidei” è lafede, il suo significato, il suo valore, l’importanza che essa riveste perl’uomo contemporaneo, così poco attento ad illuminare tutti gli angoli dellasua esistenza e che vive sotto luci artificiali e disorientanti. Queste lucisono le deificazioni e le idolatrie del successo, del denaro, del sesso, a cui,sin dalle sue prime parole e dai suoi primi gesti, papa Bergoglio ha contrappostola luce della fede nel Cristo di Dio, Colui che è fedele all’uomo e che loillumina con la luce intima dello Spirito Santo. Ma che vi sia fede nel Cristo,e che quindi vi sia la Sua luce, è testimoniato dalle opere, poiché la fedesenza le opere è nulla, è un inganno: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senzavestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:"Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro ilnecessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, èmorta in sé stessa” (Gc 2, 15-17). Quindi, la vera fede, quella che èportatrice di luce, è operosa ed attiva amica dell’uomo, solidale ecaritatevole. Del resto, il primo viaggio pastorale di papa Bergoglio è stato aLampedusa, terra di confine e di povertà, non nelle ricche ed adorne stanze di qualche palazzo del potere. Quando la società contemporanea separa la fede dalla ragione o, allamaniera del filosofo Nietzsche, la fede dalla libertà, compie un atto suicida.Nessuna filosofia può illuminare il presente ed il futuro. Solo un atto di fedenel Cristo che ha vinto la morte può illuminare l’oggi e l’oltre. Solo un atto di fede può farlo, purché sia unatto consapevole, voluto, desiderato, sentito. Come ebbi modo di scriverequalche tempo fa, “non c’è abbaglio più grande di non credere nell’esistenza diDio. Non c’è errore più grossolano di credere in Lui senza aver riflettuto”. Sela riflessione è accurata, non si può che giungere alla conclusione che tutto èopera di Dio. Per alcuni si tratta di un’evidenza, per altri di una faticosaconquista, per altri ancora di una favola o di una invenzione umana persfuggire all’angoscia esistenziale. Di fronte al mistero dell’universo, sipossono nutrire due atteggiamenti, o di sgomento e di paura oppure di meraviglia e di gioia. Ecco,la fede è la sorgente di questo secondo modo di vedere le cose. Dio è Luce edè Verbo, o meglio parola che salva perché intrisa di luce. Ma, come sappiamo,la luce venne nel mondo, ma il mondo non la accolse. A chi l’accoglie, però, èdato di diventare figlio di Dio, quindi di essere egli stesso luce del mondo,parola che salva, azione che santifica. L’arrivo della Madonna Pellegrina di Fatima nella nostra comunitàparrocchiale ci sia propizio ad addentrarci, con la preghiera e le opere, nelmistero del Cristo fatto uomo, ed accresca la nostra fede in Lui, che èVia,Verità e Vita. SalvatoreBernocco Copyright Fermento - Luglio 2013

lunedì 10 giugno 2013

EMERGENZA POVERTA’ A RUVO

Per quanto ne so, sono tante le famiglie ruvesi che versano in condizioni di estrema precarietà economica, anzi di povertà. Se non erro, oltre 400 nuclei familiari sono seguiti dalla Caritas cittadina (non so nulla di quelli seguiti dai Servizi Sociali, ma posso immaginare che si tratti di un numero ragguardevole), i cui fondi a disposizione non sono affatto sufficienti a sopperire alle continue richieste di aiuto per pagare le bollette della luce e del gas, dell’acqua, condominiali. Le stesse parrocchie sono prese d’assalto da persone in cerca di un sostegno. Molte persone che vivevano al limite del decoro, sono state risucchiate indietro. Il ceto medio si è complessivamente impoverito e, con esso, si registra il declino delle attività commerciali, costrette anch’esse a fare i conti con una spesa per i consumi che si è notevolmente ridimensionata. Sono pochi coloro che riescono a risparmiare qualcosa. La maggior parte dei monoreddito fa fatica ad arrivare con qualche euro in tasca alla famosa “terza settimana”. Insomma, il quadro economico-sociale è preoccupante, e vi è il concreto rischio che, prima o poi, frustrazione e depressione si convertano in violenza e ribellione. Alcune avvisaglie ci sono già state, ma sembra che uno, due, cinquanta morti a causa della crisi economica, facciano testo solo per due, tre giorni al massimo, con il solito condimento di proclami e promesse, dopo di che tutto finisce nel dimenticatoio. I problemi, chi ce li ha, se li tiene. Questa la triste sintesi. L’emergenza si sta trasformando in una condizione stabile di precarietà. La recessione economica, che non accenna a regredire, ha eroso diritti e sicurezze. A livello locale, credo sia ora di attivarsi in modo più razionale e meno dispersivo, immaginando semmai la formazione di una task force contro le povertà, composta dalle associazioni del volontariato, laiche e religiose, dal Comune, dalle parrocchie. È necessario un coordinamento delle azioni, degli interventi e delle iniziative di sostegno delle persone che non dispongono di un reddito sufficiente a vivere, molte delle quali sono sconosciute alla rete della solidarietà, trovando poco dignitoso venire allo scoperto. Credo manchi un censimento delle povertà. Sarebbe bene pensarci, quale strumento di rilevazione delle emergenze locali, dai cui esiti poi prendere spunto per impostare mirate politiche sociali e della solidarietà. Nel frattempo, sperando che le istituzioni locali vogliano prendere in seria considerazione il nostro suggerimento, dobbiamo intervenire come possiamo. Chi può, dia di più. Lo dia alla Caritas cittadina, alla sua parrocchia, di persona. Non lesini il suo aiuto, se è nella possibilità di darlo. Se stendiamo la mano, Gesù la guarisce dal suo inaridimento (v. Mc 3, 1-6), il che significa che ci rende capaci di “estenderci”, di amare di più, secondo il suo volere. Salvatore Bernocco Su "Fermento" del mese di giugno 2013

IL MESSAGGIO DI FATIMA

Ho avuto modo, nello scorso numero di “Fermento”, di annunciare l’arrivo, nella nostra Comunità parrocchiale, della venerata immagine della Madonna Pellegrina del Santuario di Fatima, che vi sosterà dal 29 luglio al 4 agosto. La chiesa del SS. Redentore sarà l’unica tappa pugliese del simulacro mariano tanto caro ai fedeli, per cui auspichiamo che ad accoglierla ci siano non soltanto i fedeli ruvesi, ma anche quelli dell’intera Diocesi. È bene, quindi, soffermarsi sul messaggio centrale che la Vergine Maria ci diede, apparendo ai tre pastorelli, Lucia, Giacinta e Francesco: pregare e fare sacrifici per la conversione del mondo e la salvezza delle anime. Un particolare non va sottovalutato, e cioè che le apparizioni della Vergine furono precedute dalla apparizione di un angelo. Lo racconta la stessa Lucia dos Santos nelle sue memorie. Ella vide una misteriosa figura “simile ad una statua di neve”. Fuggita, non volle raccontare nulla ai familiari, cosa che invece fecero le compagne con le quali si trovava. Fu per questo che Lucia preferì recarsi al pascolo di “Cabeço” con i due cugini, Francesco e Giacinta. Mentre essi si riparavano dalla pioggia e giocavano, apparve nuovamente quella figura, “un giovane fra i quattordici e i quindici anni, che il sole rendeva trasparente come se fosse di cristallo”. Questi invitò i bambini a pregare, prostrati con lui, in riparazione delle offese subite da Dio da parte dei peccatori, e, in particolare, con le parole: “Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo corpo, sangue, anima, divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della Terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui Egli stesso è offeso, e, per i meriti infiniti del Suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, vi chiedo la conversione dei poveri peccatori”. Riapparso nuovamente nell'estate del 1916, si rivelò come l’angelo protettore del Portogallo, ordinando ai pastorelli di fare sacrifici per la salvezza della loro patria, devastata dalle guerre civili. Nell'ultima manifestazione, l'angelo apparve ai tre pastorelli con un calice ed un'ostia sanguinante nelle mani. Porse il calice a Francesco e Giacinta, e ordinò a Lucia di mangiare l'ostia, dopo di che pregò loro di fare sacrifici in riparazione degli oltraggi nei confronti del sacramento dell'Eucaristia. Scomparso l'angelo, i pastorelli non ebbero più visioni fino al 1917, quando fecero il loro incontro con la Madonna a Cova d'Iria. Ora, dalla lettura di quanto precede, possiamo delineare un percorso di fede e di opere personali, per prepararci meno indegnamente ad accogliere la Madonna Pellegrina di Fatima. Lo sintetizzerei in alcuni punti: 1) la recita frequente del Santo Rosario, preghiera che la Madonna gradisce molto, raccomandata, fra gli altri, da San Pio da Pietrelcina, il quale scriveva: “Amate la Madonna e fatela amare, recitate il Rosario e bene. Satana mira sempre a distruggere questa preghiera, ma non ci riuscirà mai: è la preghiera di Colui che trionfa su tutto e su tutti.”; 2) preghiera all’Angelo Custode e alla SS. Trinità, in particolare allo Spirito Santo; 3) pregare per la conversione dei peccatori, senza dimenticare che lo siamo anche noi; 4) revisione della propria vita alla luce del Vangelo e del Catechismo della Chiesa Cattolica, quindi dei rapporti che abbiamo con noi stessi, con Dio, con il nostro prossimo, se sono improntati alla carità, all’amore, all’accoglienza oppure all’egoismo. Ricordiamoci che il Signore è presente nel nostro prossimo, e che ciò che facciamo al più piccolo dei nostri fratelli e sorelle è fatto a Lui; 5) compiere atti concreti di carità e di solidarietà, specie verso chi versa in stato di bisogno. La grave crisi economica, che sta mietendo molte vittime, ci obbliga a “mettere mano al portafoglio” e ad essere generosi; 6) frequenza ai sacramenti della riconciliazione e della comunione, adorando il Signore, realmente presente nell’Eucaristia. In questo modo, col cuore contrito e dischiuso alla Parola, possiamo dare il benvenuto alla Madre Celeste, presentandoci a Lei in modo dignitoso. Pensate ad un ospite che giungesse a casa nostra e la trovasse in disordine. Che idea si farebbe di noi? Quindi, per quanto ci è possibile, mettiamo in ordine la nostra casa interiore. Alla nostra pace ed ai nostri bisogni ci penserà il Signore, attraverso Maria, Sua e nostra tenera Madre. Salvatore Bernocco Su "Fermento" del mese di giugno 2013

martedì 7 maggio 2013

ACCOGLIAMO LA MADONNA PELLEGRINA DEL SANTUARIO DI FATIMA

La parrocchia del SS. Redentore, in occasione dell’Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVI dall'11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013, ospiterà dal 29 luglio al 5 agosto prossimi la venerata immagine della Madonna Pellegrina del Santuario di Fatima, che atterrerà all’aeroporto di Roma – Fiumicino il 6 aprile 2013, per benevola concessione del Rettore di quel santuario. Essa, che toccherà diverse località e comunità diocesane italiane, giungerà quindi a Ruvo, unica tappa pugliese del simulacro tanto caro ai fedeli, proveniente da Sora, paese del frusinate. Com’è noto, la Vergine apparve a tre piccoli pastori, i fratelli Francisco e Giacinta Marto (9 e 7 anni) e alla loro cugina Lucia dos Santos (10 anni), il 13 maggio 1917, mentre badavano al pascolo in località Cova da Iria (Conca di Iria), vicino alla cittadina portoghese di Fatima. Essi riferirono di aver visto scendere una nube e, al suo diradarsi, apparire la figura di una donna vestita di bianco con in mano un rosario, che identificarono con la Madonna. Dopo questa prima apparizione la Signora avrebbe dato appuntamento ai bambini per il 13 del mese successivo, e così per altri 5 incontri, dal 13 maggio fino al 13 ottobre. Si tratta di un’occasione utile ad intensificare “la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l'umanità sta vivendo” (Porta fidei, 8). È un cambiamento che interpella le nostre coscienze di credenti in Cristo, per verificare, in spirito di verità e di confronto serrato con la parola di Dio, se siamo sulla “retta via” oppure se “inciuciamo” con il “mondo”. La circostanza eccezionale della “visita” della bella immagine della Vergine nella nostra Comunità, è quindi stimolo ad intraprendere un percorso di conversione. La Vergine Maria ha a cuore la nostra conversione, che cioè ci decidiamo a scegliere la via della Trinità, che è via di comunione, e ad estromettere dalle nostre esistenze lo spirito del male, le cui manifestazioni più evidenti sono le divisioni, l’invidia, le guerre, la ricerca dei piaceri sensibili, il disordine interiore, la disperazione. Lo spirito del male si combatte con la carità e la preghiera, e non vi è preghiera più potente del Santo Rosario. La via trinitaria inizia dallo Spirito Santo, passa attraverso il Cuore della Madre che introduce i suoi devoti nel Cuore del Figlio, per poi finire nel seno del Padre. Ritengo che l’invocazione allo Spirito Santo debba precedere ogni preghiera, ogni azione, ogni decisione, perché Egli dona sapienza e saggezza, fortezza e consiglio. Il “Veni Creator Spiritus”, inno liturgico dedicato allo Spirito Santo, è la preghiera che recito spesso e che consiglio a tutti di recitare, conscio che i doni dello Spirito sono quanto di più desiderabile possa esserci. La presenza dell’icona della Madonna di Fatima vedrà impegnata la Comunità del SS. Redentore, e non solo, ad onorare il Signore per il tramite della Madre di Dio e Madre nostra. Molte saranno le occasioni di incontro, di riflessione e di preghiera. Il mio auspicio è che l’intera città ed i fedeli della Diocesi approfittino di questa “visita” per unirsi nella lode al Signore, autore della vita e difensore dei poveri, e che parta un messaggio forte di speranza e di gioia in una fase complessa e delicata della vita politica, economica e sociale italiana e mondiale. Senza Dio non si va da nessuna parte, invano si affaticano i costruttori, invano si fanno progetti. La Vergine viene a Ruvo per ricordarci tutto questo. Salvatore Bernocco su "Fermento" - maggio 2013

martedì 2 aprile 2013

NUDITA’: L’ALTRO NOME DEL CRISTIANO La Pasqua può essere interpretata come metafora del passaggio dall’ego all’io. Come per il popolo ebraico, occorre lasciare l’Egitto, terra di schiavitù e di certezze elementari (pane, acqua), e procedere verso la Terra Promessa, cioè verso un luogo interiore dove si fa concreta esperienza della salvezza e della gioia divine. È un luogo traboccante di amore e quindi di libertà, perché vi è libertà dove vi è amore e viceversa. Il vero amore scaccia la paura. Il percorso è costellato di timori e di echi rivenienti dal passato. Le sicurezze approntate dalla condizione di schiavitù esercitano il loro richiamo prepotente. Le sirene delle concupiscenze sibilano all’anima di accontentarsi del visibile, di vincolarsi al mondo, di non curarsi delle cose invisibili. Riaffiorano gli idoli di sempre, quelli che attengono alla carne ed alle sue opere, che sono ben note: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (v. Lettera ai Galati). Il cammino nel deserto implica l’abbandono nelle mani del Dio provvidente. La manna e le quaglie e l’acqua che sgorga dalla roccia confortano gli esuli, quasi allegorie della comunione eucaristica. L’ego deve man mano spogliarsi delle sue vesti lacere e apprendere a mostrasi nudo dinanzi a Dio, senza provare vergogna. Nudità è, secondo me, l’altro nome del cristiano. E si tratta di una nudità che non ha a che fare con il corpo, ma con il cuore, con la personalità, con l’essere, che si mostra a Dio così com’è, conscio dei suoi mali, dei suoi peccati, dei suoi vizi, per essere da lui risanato, liberato. Si stenta a comprendere che il peccato è una malattia che uccide il corpo e che riserva all’anima l’infausto destino della seconda morte, quella eterna. Si tende piuttosto a ridimensionarne gli esiti, come se fosse normale, quindi umano, sguazzarci dentro. Il percorso educativo immaginato da Marco Guzzi ci conduce dinanzi ad uno specchio che ci rimanda tanto la nostra immagine distorta quanto quella risanata, cioè quella che dovrebbe essere in conformità col disegno liberante di Dio. Ma che cosa libera l’uomo se non lo Spirito? “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, scrive Paolo ai Galati. È un’elencazione che si apre con l’amore che, a cascata, genera la gioia, e questa la pace, e così via, fino al dominio di sé. In altri termini, l’ego, spogliatosi dei suoi abiti consunti, si fa io cristico, passando attraverso le fasi dell’io in conversione e dell’io in relazione. Le maschere cadono. Resta l’uomo cosciente della sua filiazione divina, della sua origine e del suo destino oltremondano. Io sono un “darsipacista telematico”, nel senso che seguo gli incontri tenuti da Marco via web. Ne sono stato e ne sono tormentato. Alcune volte è come se l’anima si rifiutasse di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda delle parole che convertono scavando. È come se la frattura originaria ed originante si facesse dolore. Sono stato sul punto di mollare tutto, dopo aver messo mano all’aratro. Molto più semplice costruirsi qualche idolo su misura delle proprie esigenze distorte che convertirsi, lasciarsi aprire le orecchie, guardarsi dentro con l’occhio scrutante di Dio. Ma cosa ne avrei ricavato? Il ritorno in terra di schiavitù, dov’è pianto e stridore di denti, già qui, in questa dimensione di vita. Il lavoro spirituale è, per l’appunto, un lavoro. Semmai va preso a piccole dosi, o meglio nelle dosi che si confanno a ciascuno di noi. La mia personale esperienza mi suggerisce di centellinare, di muovere piccoli passi. Troppa acqua non irriga ma distrugge. L’azione ingannevole dell’ego è anche quella di convincerci che i risultati devono essere immediati e che, se non lo sono, non vale la pena di proseguire. Scoperto l’inganno, ci si premunisce nel senso di interpretare quel dolore intimo come segno che qualcosa si muove nella giusta direzione, che si sta demolendo un ostacolo, che si sta abbattendo una resistenza al cambiamento. È la giusta interpretazione, non una giustificazione che ci si dà per consolarsi. Mentre termino di scrivere queste note, mi giunge dall’esterno un cinguettio. Mi allieto. Non tutto è perduto. Anzi, tutto è guadagno per chi si fida dello Spirito. sul sito web www.darsipace.it

JORGE MARIO BERGOGLIO, PAPA FRANCESCO

Sono a casa mia quando fuoriesce il fumo bianco che segnala l’elezione del nuovo pontefice, dopo le dimissioni di Benedetto XVI. Sono le 19.06 del 13 marzo 2013. Dopo più di un’ora di attesa, il cardinale protodiacono, Jean-Louis Tauran, pronuncia l'atteso “habemus papam” e il nome del nuovo pontefice: Francesco. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio è il 266° successore di Pietro. Il silenzio, che era sceso sulla gremitissima piazza San Pietro, si scioglie alle prime parole del nuovo Vescovo di Roma: “Fratelli e sorelle, buonasera!”. Resto sconcertato. Guardo mia madre che mi chiede chi fosse il nuovo Papa. Non lo so, le rispondo. Non lo conosco. Nessuno lo dava per favorito, né i bookmaker né gli uomini di Curia. Resta confermato che chi entra papa in conclave, ne esce cardinale. I nomi di Scola, Ravasi, Dolan, etc., escono di scena. Lo Spirito Santo ha operato una scelta diversa e di rottura col passato. Questa è la mia prima impressione dopo aver ascoltato le prime esternazioni del Pontefice e valutato i suoi primi passi. Sacerdote umile, vicino ai poveri, molto socievole, auspica una Chiesa povera che sia testimone della carità del Cristo. Indossa una croce di ferro, quella che portava prima dell’elezione. Indossa scarpe comuni, non quelle rosse. Niente ermellino e niente camauro. I segni del potere papale sono l’umiltà e la povertà, il servizio e la preghiera. Invita la piazza a pregare su di lui. Per molti è ritornato sotto altre spoglie Giovanni XXIII, come afferma anche mons. Loris Capovilla che ne fu il segretario particolare. Lancia messaggi semplici, comprensibili, popolari. La preghiera al posto della teologia, spesso complicata e cavillosa. La semplicità evangelica invece di certi ritualismi privi d’anima. E l’invito ai confessori ad essere misericordiosi con i penitenti, perché Dio è essenzialmente buono e misericordioso, è sempre pronto al perdono. Quante volte ci ostiniamo a non chiedergli perdono e non siamo capaci di perdonare noi stessi! La pace va a farsi benedire se non siamo capaci di accettare il perdono del Padre! L’omelia del 14 marzo tenuta nella Cappella Sistina è “programmatica”. Vi sono le linee essenziali del Suo pontificato: camminare nella luce di Dio; edificare la Chiesa sulla roccia e non sulla sabbia; confessare il Cristo, cioè esserne testimoni credibili. Si apre indubbiamente una nuova fase per la Chiesa. È una fase che prevede una sorta di spogliamento per rivestirsi di una nuova umanità, quella cristica, rigenerata nell’amore di Dio, al quale spesso è stato affibbiato un carattere permaloso, suscettibile, feroce, vendicativo. Dio come Giove. Dio, il nemico della felicità dell’uomo, il castigatore dei peccatori. Questa visione di Dio va bandita. Per sempre. Perché non è vera, non corrisponde al Dio del Cristo, il buon pastore, il padre misericordioso, il buon samaritano, il guaritore. Continuare a nutrire la visione “nera” di Dio rende un alto servizio a Satana, il divisore, che è bugiardo fin dalla nascita e che quindi insinua nelle menti degli uomini idee sempre false di Dio. Lo Spirito Santo ha fatto un buon lavoro. Ne siamo grati ai Cardinali. Nella speranza che il Signore conceda lunga vita a Papa Francesco, secondo i suoi disegni di salvezza e di misericordia. su Fermento, aprile 2013