martedì 2 aprile 2013

NUDITA’: L’ALTRO NOME DEL CRISTIANO La Pasqua può essere interpretata come metafora del passaggio dall’ego all’io. Come per il popolo ebraico, occorre lasciare l’Egitto, terra di schiavitù e di certezze elementari (pane, acqua), e procedere verso la Terra Promessa, cioè verso un luogo interiore dove si fa concreta esperienza della salvezza e della gioia divine. È un luogo traboccante di amore e quindi di libertà, perché vi è libertà dove vi è amore e viceversa. Il vero amore scaccia la paura. Il percorso è costellato di timori e di echi rivenienti dal passato. Le sicurezze approntate dalla condizione di schiavitù esercitano il loro richiamo prepotente. Le sirene delle concupiscenze sibilano all’anima di accontentarsi del visibile, di vincolarsi al mondo, di non curarsi delle cose invisibili. Riaffiorano gli idoli di sempre, quelli che attengono alla carne ed alle sue opere, che sono ben note: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (v. Lettera ai Galati). Il cammino nel deserto implica l’abbandono nelle mani del Dio provvidente. La manna e le quaglie e l’acqua che sgorga dalla roccia confortano gli esuli, quasi allegorie della comunione eucaristica. L’ego deve man mano spogliarsi delle sue vesti lacere e apprendere a mostrasi nudo dinanzi a Dio, senza provare vergogna. Nudità è, secondo me, l’altro nome del cristiano. E si tratta di una nudità che non ha a che fare con il corpo, ma con il cuore, con la personalità, con l’essere, che si mostra a Dio così com’è, conscio dei suoi mali, dei suoi peccati, dei suoi vizi, per essere da lui risanato, liberato. Si stenta a comprendere che il peccato è una malattia che uccide il corpo e che riserva all’anima l’infausto destino della seconda morte, quella eterna. Si tende piuttosto a ridimensionarne gli esiti, come se fosse normale, quindi umano, sguazzarci dentro. Il percorso educativo immaginato da Marco Guzzi ci conduce dinanzi ad uno specchio che ci rimanda tanto la nostra immagine distorta quanto quella risanata, cioè quella che dovrebbe essere in conformità col disegno liberante di Dio. Ma che cosa libera l’uomo se non lo Spirito? “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, scrive Paolo ai Galati. È un’elencazione che si apre con l’amore che, a cascata, genera la gioia, e questa la pace, e così via, fino al dominio di sé. In altri termini, l’ego, spogliatosi dei suoi abiti consunti, si fa io cristico, passando attraverso le fasi dell’io in conversione e dell’io in relazione. Le maschere cadono. Resta l’uomo cosciente della sua filiazione divina, della sua origine e del suo destino oltremondano. Io sono un “darsipacista telematico”, nel senso che seguo gli incontri tenuti da Marco via web. Ne sono stato e ne sono tormentato. Alcune volte è come se l’anima si rifiutasse di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda delle parole che convertono scavando. È come se la frattura originaria ed originante si facesse dolore. Sono stato sul punto di mollare tutto, dopo aver messo mano all’aratro. Molto più semplice costruirsi qualche idolo su misura delle proprie esigenze distorte che convertirsi, lasciarsi aprire le orecchie, guardarsi dentro con l’occhio scrutante di Dio. Ma cosa ne avrei ricavato? Il ritorno in terra di schiavitù, dov’è pianto e stridore di denti, già qui, in questa dimensione di vita. Il lavoro spirituale è, per l’appunto, un lavoro. Semmai va preso a piccole dosi, o meglio nelle dosi che si confanno a ciascuno di noi. La mia personale esperienza mi suggerisce di centellinare, di muovere piccoli passi. Troppa acqua non irriga ma distrugge. L’azione ingannevole dell’ego è anche quella di convincerci che i risultati devono essere immediati e che, se non lo sono, non vale la pena di proseguire. Scoperto l’inganno, ci si premunisce nel senso di interpretare quel dolore intimo come segno che qualcosa si muove nella giusta direzione, che si sta demolendo un ostacolo, che si sta abbattendo una resistenza al cambiamento. È la giusta interpretazione, non una giustificazione che ci si dà per consolarsi. Mentre termino di scrivere queste note, mi giunge dall’esterno un cinguettio. Mi allieto. Non tutto è perduto. Anzi, tutto è guadagno per chi si fida dello Spirito. sul sito web www.darsipace.it

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