martedì 23 marzo 2010

lunedì 15 marzo 2010

BACHELET, A 30 ANNI DALLA MORTE

Il 12 febbraio del 1980 il professor Vittorio Bachelet viene assassinato dalle Brigate Rosse al termine di una lezione universitaria. Da lui, grande studioso di diritto e presidente dell’Azione Cattolica dal 1964 al 1973, possiamo attingere linee guida ed indirizzi circa la buona politica, quella che intende portare salvezza e mettere la persona al centro dell’azione amministrativa, in posizione antecedente rispetto allo Stato. Fu questa, in estrema sintesi, la lezione del personalismo di provenienza soprattutto francese (Emmanuel Mounier e Jacques Maritain), a cui si abbeverarono, fra gli altri, anche Moro e La Pira. Egli concepiva la politica come corresponsabile costruzione della città, in cui ognuno deve portare il contributo delle sue capacità in vista della costruzione di quel bene comune che rappresenta il fine relativamente ultimo della politica. Vi è infatti un modo diffuso di fare politica che non si limita alla partecipazione nei partiti e nelle istituzioni, ma che riguarda ad esempio il competente esercizio di un mestiere e di una professione, che rappresenta in sé un alto valore politico.
Inoltre, egli può essere considerato uno degli anticipatori della dottrina conciliare sulla vocazione e sulla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Nella partecipazione alla vita associativa, tramite le varie articolazioni e strutture dell'Azione Cattolica Italiana, egli vedeva infatti per i laici un modo esigente di essere allo stesso tempo “buoni cristiani e buoni uomini e donne del loro tempo”, e non certo una forma di efficientismo associativo e nemmeno una chiusura intransigentistica nella sfera del religioso concepita come antagonista al più vasto mondo sociale. “La sua morte – come hanno scritto Rosy Bindi, che ne fu assistente, e Paolo Nepi - va vista come la luminosa testimonianza di un martire, che ha versato il suo sangue per la difesa dei supremi valori politici del diritto e della giustizia”.

SAN GIUSEPPE, SPOSO E PADRE

“Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme. Suo padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e di un temperamento umile, mite e devoto”.
Così viene tratteggiata la figura dello sposo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù, Giuseppe, di mestiere falegname. Su san Giuseppe si sa molto poco, in realtà; è un uomo giusto, che non ripudia Maria, gravida per opera dello Spirito Santo, che si adopera per mettere in salvo la vita di Gesù, che osserva i comandamenti ed è fedele a Dio.
Un uomo attento alla voce dello Spirito, forse mediata da quella della sua sposa. Un uomo quindi avvolto dal silenzio che è la culla della Parola, è la Parola di Dio vissuta nell’abitacolo del cuore, sede degli affetti e della coscienza per il popolo ebraico.
Egli è l’esempio dell’uomo interiore, nel quale prende corpo quella predisposizione alla carità che si fa gesto ed azione di giustizia. La sua grandezza sta nel quasi mistero che lo circonda, in questa penuria di informazioni sul suo conto, non alla stessa stregua di un personaggio mitologico, mai esistito e frutto della fantasia, ma di un uomo realmente esistito che si è messo a totale disposizione di Maria e del Figlio di Dio, di cui fu padre sul piano umano ma non genitore. Cosa intendo dire? Che se fra gli esseri umani accade spesso che il genitore biologico, cioè colui che genera, non sia anche in grado di essere padre, quindi di educare, di amare, di essere autorevole, nel caso particolare di san Giuseppe la sua paternità fu perfetta, intessuta di preoccupazioni e di amore per il figlio che Maria aveva concepito senza l’ausilio dell’uomo.
A san Giuseppe, la cui festa liturgica ricorre il 19 marzo, festa del papà, affidiamo in custodia i genitori, affinché riscoprano la vocazione alla santità attraverso l’educazione morale, religiosa e spirituale dei loro figli. Da buoni padri discendono ottimi figli, da padri pessimi nascono schegge impazzite. La paternità responsabile e spirituale nell’ambito della famiglia è un valore da riscoprire, di difficile avveramento ove i credenti (o molti di essi) dovessero continuare a comportarsi in modo “schizofrenico”, con un piede nel terreno di Dio e con l’altro nel campo di gioco di Satana.
Lontano dalla Chiesa e dalla pratica vissuta e sentita dei Sacramenti, quindi dalla Parola di Dio, si è come tamerischi nella steppa, mentre, sotto lo sguardo paterno di Giuseppe e della Vergine santa, nell’amore e nella fede in Dio, si realizza una radicale trasformazione del cuore, per cui dall’esperienza mortifera della steppa si passa a sperimentare la vita dello e nello Spirito, apportatrice di gioia e pace.

Fermento, Marzo 2010
Ne hanno parlato finanche i Vescovi italiani della C.E.I., convocati per discutere ed approfondire il tema “Per un Pese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, da cui l’omonimo documento licenziato lo scorso 21 febbraio, Prima Domenica di Quaresima, su cui torneremo in altra occasione in modo più approfondito.
Ne parlano ogni giorno organi di stampa, televisioni, quotidiani, riviste. Se ne dibatte nei social network, cioè nei siti web dove gli internauti si incontrano nelle agorà virtuali e si scambiano opinioni ed idee.
Il Paese sta attraversando una terribile crisi etica e morale, oltre che civile ed economica, essendo queste ultime figlie delle prime due.
Nel Paese non c’è un’etica pubblica che sia condivisa. Si ha l’impressione di una erosione progressiva del senso morale, specie in campo politico ed economico, dove con frequenza preoccupante esplodono casi eclatanti di corruzione. Politica e finanza deviate, eterodirette dalle organizzazioni criminali, mafia e ‘ndrangheta, scoperte grazie all’uso delle intercettazioni telefoniche, strumento a mio avviso indispensabile per scoprire i reati e combattere la criminalità, tanto quella comune quanto quella dei cosiddetti colletti bianchi.
Perché alcuni politici temono le intercettazioni? Qual è il punto dolente? La tutela della privacy? O vi è altro? Francamente non credo che i magistrati si occupino delle vicende private di un politico per il gusto di violarne l’intimità o l’ambito familiare. Se così fosse sarebbero dei guardoni, farebbero del voyeurismo. La questione è che taluni comportamenti privati hanno riflessi pubblici, nel senso che rivelano intrecci affaristici e di altro genere inquadrabili nelle fattispecie dei delitti e dei reati contro la pubblica amministrazione. Il punto è il codice penale e quello di procedura penale, sono i reati che si commettono per fame e sete di potere e di denaro. Questi vanno contrastati e puniti severamente, senza attenuanti, evitando che il condannato possa ricandidarsi. A ciò osta non soltanto il vecchio detto “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, ma anche la considerazione che non può ritenersi più affidabile nella gestione della res publica chi si è macchiato di reati contro la pubblica amministrazione. L’interdizione perpetua dai pubblici uffici parrebbe sanzione adeguata.
Nella formazione di talune liste per le Regionali compaiono nomi discussi, discutibili o chiacchierati. Vi sono anche veline, truccatrici, massaggiatrici ed amiche di Tizio o di Caio, le cui uniche qualità pare risiedano nelle loro grazie ed avvenenze, prive di competenze culturali e di esperienza politica. Si finirà col fare eleggere senatore o deputato il proprio cavallo, come ai tempi di Caligola? Perché non restituire all’elettorato la possibilità di esprimere una o più preferenze, consentendo così di selezionare la classe politica secondo criteri diversi dalle curve, dai favori sessuali ricevuti e dal grado di sudditanza al potente di turno? Questa sì che sarebbe democrazia, altro che l’opposizione alle intercettazioni telefoniche, la sospensione dei processi per chi governa, i lodi a tutela dei potenti, il vaniloquio manicheo sulle forze del bene contro quelle del male, su chi farebbe e chi si divertirebbe soltanto a demolire.
Sono dell’avviso che chi è pulito non abbia nulla da temere. Questo è il salto di qualità che la politica deve fare. Massima trasparenza, correttezza ed onestà. In gioco vi è la tenuta democratica del Paese e la sua immagine nel mondo, vilipesa da una classe politica che pare abbia abdicato alla propria precipua funzione di legiferare ed amministrare per il bene comune, per conto dei cittadini onesti, mai per se stessi ed il proprio entourage.
Salvatore Bernocco

Ne hanno parlato finanche i Vescovi italiani della C.E.I., convocati per discutere ed approfondire il tema “Per un Pese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, da cui l’omonimo documento licenziato lo scorso 21 febbraio, Prima Domenica di Quaresima, su cui torneremo in altra occasione in modo più approfondito.
Ne parlano ogni giorno organi di stampa, televisioni, quotidiani, riviste. Se ne dibatte nei social network, cioè nei siti web dove gli internauti si incontrano nelle agorà virtuali e si scambiano opinioni ed idee.
Il Paese sta attraversando una terribile crisi etica e morale, oltre che civile ed economica, essendo queste ultime figlie delle prime due.
Nel Paese non c’è un’etica pubblica che sia condivisa. Si ha l’impressione di una erosione progressiva del senso morale, specie in campo politico ed economico, dove con frequenza preoccupante esplodono casi eclatanti di corruzione. Politica e finanza deviate, eterodirette dalle organizzazioni criminali, mafia e ‘ndrangheta, scoperte grazie all’uso delle intercettazioni telefoniche, strumento a mio avviso indispensabile per scoprire i reati e combattere la criminalità, tanto quella comune quanto quella dei cosiddetti colletti bianchi.
Perché alcuni politici temono le intercettazioni? Qual è il punto dolente? La tutela della privacy? O vi è altro? Francamente non credo che i magistrati si occupino delle vicende private di un politico per il gusto di violarne l’intimità o l’ambito familiare. Se così fosse sarebbero dei guardoni, farebbero del voyeurismo. La questione è che taluni comportamenti privati hanno riflessi pubblici, nel senso che rivelano intrecci affaristici e di altro genere inquadrabili nelle fattispecie dei delitti e dei reati contro la pubblica amministrazione. Il punto è il codice penale e quello di procedura penale, sono i reati che si commettono per fame e sete di potere e di denaro. Questi vanno contrastati e puniti severamente, senza attenuanti, evitando che il condannato possa ricandidarsi. A ciò osta non soltanto il vecchio detto “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, ma anche la considerazione che non può ritenersi più affidabile nella gestione della res publica chi si è macchiato di reati contro la pubblica amministrazione. L’interdizione perpetua dai pubblici uffici parrebbe sanzione adeguata.
Nella formazione di talune liste per le Regionali compaiono nomi discussi, discutibili o chiacchierati. Vi sono anche veline, truccatrici, massaggiatrici ed amiche di Tizio o di Caio, le cui uniche qualità pare risiedano nelle loro grazie ed avvenenze, prive di competenze culturali e di esperienza politica. Si finirà col fare eleggere senatore o deputato il proprio cavallo, come ai tempi di Caligola? Perché non restituire all’elettorato la possibilità di esprimere una o più preferenze, consentendo così di selezionare la classe politica secondo criteri diversi dalle curve, dai favori sessuali ricevuti e dal grado di sudditanza al potente di turno? Questa sì che sarebbe democrazia, altro che l’opposizione alle intercettazioni telefoniche, la sospensione dei processi per chi governa, i lodi a tutela dei potenti, il vaniloquio manicheo sulle forze del bene contro quelle del male, su chi farebbe e chi si divertirebbe soltanto a demolire.
Sono dell’avviso che chi è pulito non abbia nulla da temere. Questo è il salto di qualità che la politica deve fare. Massima trasparenza, correttezza ed onestà. In gioco vi è la tenuta democratica del Paese e la sua immagine nel mondo, vilipesa da una classe politica che pare abbia abdicato alla propria precipua funzione di legiferare ed amministrare per il bene comune, per conto dei cittadini onesti, mai per se stessi ed il proprio entourage.