domenica 11 dicembre 2011

TEMPO DI AVVENTO, TEMPO DI ATTESE

L’Avvento precede la nascita del Cristo, che in verità viene in noi (e vi resta col Padre e lo Spirito Santo) ogni qualvolta siamo in grado, col nostro impegno, di dare vita a chi vita non ne ha, di costruire itinerari di liberazione dell’uomo di questi nostri tempi segnati da una superficialità e da un consumismo frenetico, che tutto riduce alla dimensione del giornaliero, del possesso di cose inutili ed ingombranti, dei beni materiali, e che attende il Natale come l’ennesima occasione di darsi ai bagordi e a quelle manifestazioni di falsa gioia che sono il precipitato del cosiddetto nichilismo. Parlare oggi di interiorità, cioè di una dimensione di vita interiore dove l’uomo può ritrovarsi ed essere pienamente se stesso, è pura follia. Se tutto è apparenza ed esteriorità; se tutto si celebra nell’attimo fuggente; se la vita di un essere umano ha valore se vi è ricchezza, potere, salute, bellezza, allora più che di Avvento saremmo tentati di parlare di Restaurazione, cioè di un tempo abitato da idoli pagani e dall’idolatria dell’ego.
L’Avvento è un tempo di attesa di un evento che, se accolto, cambia la vita in meglio, dandole senso e profondità. Gesù si incarna, Dio si incarna e si manifesta al mondo, in primis a gente di scarto, emarginata, ai pastori. Nasce povero, “al freddo ed al gelo”, e per giunta pende su di Lui la mannaia di Erode, cioè del potere che si oppone alla venuta del regno di Dio fra gli uomini, cosa che accade anche ai nostri giorni. Il fedele cristiano è dileggiato per la sua fede, sebbene si discetti tanto di tolleranza e di rispetto da parte di settori del laicismo nostrano che, in realtà, sono tolleranti verso tutti tranne che verso chi si professa credente. È la croce del seguace del Cristo.
Ma l’Avvento è tempo di riflessione in vista dell’azione concreta per il bene della comunità, e non mi riferisco soltanto a quella parrocchiale. Intendo riferirmi alla nostra comunità cittadina, alla vita politica ed amministrativa locale, che auspichiamo possa portare risultati concreti, tangibili, specie in relazione all’ambito della solidarietà sociale. Le povertà sono molteplici, certo, ma la povertà materiale, le condizioni in cui versano tante famiglie ruvesi dovrebbero sollecitare ad impostare politiche di impatto, destinando all’emergenza sociale tutte le risorse disponibili. Così, piuttosto che di festival o di iniziative che oramai hanno fatto il loro tempo, sarebbe preferibile occuparsi di poveri e di povertà, di ambiente e di vivibilità. Se in una famiglia manca il necessario; se in una famiglia mancano il cibo ed i soldi per mandare i figli a scuola o per pagare le bollette, e nella città, altrove si suona o si spendono fior di quattrini per due, tre ore di musica o spettacolo o teatro o cerimonie, allora si commette un grave peccato sociale, che andrebbe confessato. La giustizia reclama che si badi prima di tutto all’essenziale e che ci si occupi dei senza voce, dei non garantiti, dei precari, di quanti, disoccupati o inoccupati o con redditi da fame, scivolano verso la disperazione.
Se un membro del corpo sociale è malato, tutto il corpo ne risente. Non si salva nessuno. È illusorio pensare il contrario. Le sacche di privilegi hanno generato e generano – come si assiste questi giorni – miserie maggiori, crisi economiche e finanziarie, determinate per l’appunto dall’avidità degli uomini. Bisogna cambiare strada e farlo presto, aiutando le membra affaticate ed oppresse a sollevarsi. Questo è esercizio di politica cristiana. Questo è vero esercizio di carità. Tutto il resto è materia diabolica.